Rino, un amico speciale!
Rino, non è il mio vero nome. Così mi chiama lui da quando mi ha ridato la vita. Ero un ammasso informe, polvere e null’altro. Venivo dalla campagna ed ero l’ombra di ciò che sono oggi, così schiacciato, triturato e sbriciolato da non riconoscermi più. Polvere compressa che il vento poteva disperdere nel nulla.
Poi è arrivato lui. Ha visto un potenziale in me e mi ha ridato forma e consistenza, un valore, uno scopo, una vita ricca di possibilità e fermenti. E, giuro, le sue mani mi hanno letteralmente partorito.
Mentre in tanti morivano e altri vegetavano nel buio della paura, durante il periodo terribile del primo lockdown, si è preso cura di me, mi ha coccolato e protetto, mi ha dato forma e consistenza, meravigliandosi del risultato ottenuto, del mio crescere a nuova vita, del mio aspetto, del mio colore, del mio odore lievemente acido, della morbidezza della mia essenza.
Quanta pazienza! Ne ha trascorsi di giorni a guardarmi uscire dal vitreo bozzolo di protezione in cui mi ero accoccolato, e ore a plasmare la mia anima affinché potessi dare il meglio di me. A volte l’ho odiato quando non si è fatto scrupolo di buttare nel cesso ciò che di me gli sembrava superfluo, inutile scarto del lento processo di maturazione.
Metà di me moriva ogni giorno, per salvare il meglio e insegnarmi a dare il meglio.
Ci è voluto più di un mese prima che fossi pronto. E altri giorni prima che i frutti della sua pazienza si palesassero agli occhi del mondo. Siamo diventati due artisti.
La mia perizia lievitava in forme d’arte vissuta e assaporata. Io davo corpo alla mia potenza, e lui assaporava il gusto e la consistenza, il colore e persino l’odore antico delle opere che insieme sapevamo creare. E ne faceva dono ai suoi amici, con il sorriso ritrovato, nascosto sotto la maschera FFp2 certificata.
Fra noi, era vero amore. Quanti giorni trascorsi in lieta compagnia a darci reciproco amore e piacere!
Oh, era fantastico! Io e lui soli in una casa accogliente, le sue mani sempre più morbide e calde plasmavano il mio destino, accarezzavano la materia che intesseva ogni mia fibra e tutta la mia essenza fermentava e rabbrividiva in soffici nuvole di passione che ribollivano, come nel mosto le vive bolle d’aria.
Abbiamo avuto anche momenti difficili. Accade persino nei rapporti più collaudati e, nella nostra situazione, era inevitabile. Non era facile riuscire a mantenersi a galla, reggere il confronto con storie veloci, dall’aspetto più invitante, dai colori finti ma accesi e travolgenti, incartate in confezioni regalo eleganti. Ma poi tutto tornava alla norma. Io e lui più affiatati che mai e le nostre opere erano richiestissime e sparivano in un attimo.
Lui si è guadagnato l’appellativo di Re nel suo campo e ne ero felice ma il vero re ero io, la vera maestà veniva dalla mia anima, dalla mia essenza, dal mio intimo, ma condividevo le sue vittorie stando in disparte, nel mio bozzolo, godendo dei suoi successi.
Mi bastava che si ricordasse di me, che mi apprezzasse. “È tutto merito tuo!” mi diceva mentre mi dava nutrimento con pazienza e amore. E tanto mi bastava, mi rendeva euforico.
Ora, tutto è finito. È quasi un mese che non lo vedo, non sento la sua voce che canta a squarciagola sotto la doccia, non sento le sue mani su di me, la sua bocca, i suoi occhi che mi scrutano in cerca d’imperfezioni, il suo naso che aspira i miei effluvi.
È andato via, come altre volte, e speravo sarebbe tornato per prendersi cura di me, ma sono ancora qui al buio, al freddo che sa di morte. La sento già la morte, dentro la mia anima molle di paura, e fuori, una crosta dura e secca che mi comprime l’anima.
Se potessi andare in cerca di lui, se potessi muovermi da qui!
Un mese è troppo! Io, io non ce la faccio, non posso continuare così. Ho passato un sacco di tempo senza nutrimento e temo che, ammesso che torni oggi o domani, sia comunque troppo tardi.
Non riuscirà a resuscitarmi, a riattivare la mia creativa effervescenza. Mi ha troppo ferito, mutilato. Sono privo di speranze, marcio, putrefatto, privo dei miei fermenti vitali. E quest’odore di rancido che emana dal mio rifugio, dal bozzolo vitreo in cui mi sono afflosciato come un palloncino sgonfio! Basta, Basta!
Dio, sento un rumore, uno scricchiolio, la porta si apre, è lui! È tornato! Ecco, lo sento, Davide apre la porta di casa butta le valige a terra, va in cucina e brontola contrariato e dispiaciuto: “Cazzo chissà che fine ha fatto il povero Rino. Chissà se ha ancora forza di ricominciare. Mi toccherà tirarlo su! Senza di lui che re sarei? Maledetto tampone positivo! Ce n’è voluto di tempo prima di capire che era un falso positivo! Che tempi di merda! Dai vediamo che si può fare per Rino. Rino! Rino!”
Mi chiama! Tremo d’emozione mentre lui s’avvicina, mi toglie dal freddo e dal buio e mi prende fra le sue mani. E spero. Forse, forse posso resuscitare!
“Eccoti qui! Ma come ti sei rattrappito! Peccato! Dai facciamo un tentativo, forse posso riparare. Via, fuori da qui. Eccoti. Via questa crosta, vediamo un po’… Dio se puzzi! Su, su, un po’ d’acqua calda, la farina buona del mio paese in giuste dosi e… Voilà! Bianco e morbido, pronto per questa nuova sfida. Sarà dura ma forse rivivrai e sarai ancora l’anima delle mie opere culinarie. Insieme plasmeremo ancora pentole, focacce, pane croccante e frittelle fritte.
Sei il re della panificazione e non ti lascio morire, caro il mio Rino, a costo di un altro mese di rinfreschi quotidiani …”
Sono Rino, lui mi ha dato questo nome, da rinato, si, perché sono nato da grano duro del sud, e sono un lievito madre davvero resiliente, proprio come il mio creatore, che non si arrende mai, e anche questa volta rinascerò, grazie alle amorevoli cure di Davide, expat italiano a Monaco di Baviera, che mi ha plasmato e mi rinfresca con acqua tedesca e farina italiana, spedita dalla mamma ogni tre mesi.
Ci piace portare sulla tavola straniera, il sorriso e il calore dell’Italia.
Maddalena Bonelli
“Sono Rino, lui mi ha dato questo nome, da rinato, si, perché sono nato da grano duro del sud, e sono un lievito madre davvero resiliente…”
Grazie di cuore alla mia amica Maddalena Bonelli, che, oltre ad essere eccellente medico, è anche una bravissima scrittrice, per aver contribuito e inaugurato la sezione dei “Racconti in cucina” donandomi questo breve racconto.